Biancomangiare di mandorle alla fava tonka


Questa ricetta è stata scelta tra le sei finaliste del contest a cui partecipa

Non lo avevo mai fatto, ma alcuni giri sul web me ne hanno mostrato, tempo fa, le immagini e dato il gran caldo di questi giorni, l'unico neurone in piena crisi grida pietà e voglia di fresco. In cambio,  mi restituisce la memoria di quei vecchi giri, frullando e ricomponendo di sua iniziativa, per proporre alla mia attenzione questa elaborazione del biancomangiare in stile siciliano, fatta con il latte di mandorle.

L'occasione è anche quella di partecipare al contest della cara Tiziana, del blog Pecorella di Marzapane in collaborazione con Scelte di gusto. Mi piaceva l'idea di rendere onore alla sua terra, poiché credevo che fosse originario della Sicilia.
Invece le origini di questo dolce non sono certe e comunque lontanissime; sembra infatti che già ce ne sia traccia storica a partire dall'anno 1000. Deriva il suo nome dal colore bianco e se ne fa una versione "nordica" in Valdaosta, con il latte di mucca. In Sicilia si utilizzano il latte di mandorle, le bucce di limone, lo zucchero e l'amido. Piacendo, si può personalizzare con l'aggiunta di cannella, o di cioccolato, o anche del pistacchio.
Pare che la sua prima patria sia stata la Francia, dove nei più antichi ricettari appaiono termini come blanche mangieri, balmangier. Non solo, viene citato tra le preparazioni del banchetto di Matilde di Canossa per la riappacificazione tra il Papa e l'Imperatore (Gregorio VII ed Enrico IV..)

Biancomangiare di mandorle, fava tonka e caramello di malto



dosi per circa 12 bicchierini da creme caramel
700 gr. latte di mandorle
(io l'ho trovato in un negozio di cose biologiche)
200 gr. panna fresca
100 gr. zucchero
80 gr. amido di mais
1 fava tonka *
3 cucchiaini colmi di malto alla crema di nocciole**
2 cucchiaini colmi di zucchero di canna
una manciata dia mandorle a lamelle, tostate

In una pentola abbastanza capace, porre il latte di mandorle con lo zucchero e scaldare a fuoco dolcissimo, grattugiare la fava tonka a piacere. Io volevo sentirla bene, dato il quantitativo che complessivamente superava il litro, quindi ne ho messa una quasi intera. Con la frusta a mano incorporare l'amido e poi la panna fresca. Appena la crema si addensa, togliere dal fuoco e versare negli stampini monoporzione precedentemente inumiditi con acqua, oppure in uno stampo unico. Porre poi in frigo almeno una notte.
Al momento di servire, in un pentolino mettere lo zucchero con poca acqua e il malto alla crema di nocciole a fuoco lieve. Si formerà una sorta di caramello, che accompagnerà il biancomangiare, insieme ad una manciatina lamelle di mandorle tostate.
In una versione anche "quotidiana", in mancanza della fava tonka il biancomangiare si avvantaggia molto dell'aroma del limone o della cannella. E invece del caramello di malto, potrete usare del semplice caramello di zucchero.

Fave tonka e Mandorle dolci

*Io ho usato la fava tonka, gentilissimo dono di Rossella di Salsapariglia, perché quando ne ho sentito il profumo per la prima volta, ho subito pensato a mandorle ed amaretti.
**Il caramello con il malto è un'idea che mi è scattata vedendo la consistenza del malto alla nocciola, trovato nel mio giro al negozio biologico dove ho trovato anche il latte di mandorle.

un Biancomangiare in versione "every day"

Mando questa ricetta a Tiziana, giusto per non smentirmi nei miei usi, a un'ora dal termine del suo Contest!


Questa ricetta è stata selezionata tra le sei finaliste del contest, i cui vincitori saranno decretati con voto da esprimere direttamente QUI.


Dal Giappone con furore, Kaki - age "tricolore"


La sfida dell'MTC di giugno si profilava già dall'inizio una cosa particolare, forse proprio per la distanza che noi italiani sentiamo con questo popolo, con i suoi cibi, gli ingredienti così inusuali, i sapori tanto differenti da essere a molti di noi quasi sconosciuti.
Soprattutto però secondo me si tratta di una distanza "emotiva" tra il nostro modo interiore ed il loro. Tutta la cerimonialità ed il senso di una circostanza, che li rende così avvezzi alla disciplina nel senso più profondo che questo concetto porta in sé, sono una cosa che all'italiano medio, mediamente manca proprio. Da noi impera il senso del cavarsela, dell'arrangiarsi con quel che che c'è, della scappatoia trovata all'ultimo momento e che ci rende orgogliosi di aver schivato una brutta figura. L'esatto opposto di loro, che invece dell'onore fanno una questione di vita o di morte...

Acquaviva, nel suo minuzioso post ha reso bene l'idea di come, anche per delle "semplici e quotidiane" frittelle si possa cercare la perfezione nel taglio degli ingredienti, nella preparazione di una pastella, nella presentazione con una salsa e con un condimento specifico. Una vera meraviglia.

Venendo alla preparazione, non è stato per nulla facile e a un certo punto oggi stavo andando in crisi, pensando di non pubblicare nulla...
Poi mi sono obbligata ad arrivare fino in fondo e, pur non potendo onorare tanta perfezione, ho fatto del mio meglio.

Ho scelto di seguire il filone originale della ricetta; unica nota personale, ho giocato col colore: shiro kaki-age bianche e bocchan kaki-age, ovvero rosse e verdi. Se dev'essere italiano, almeno tricolore!
Per gli accompagnamenti avevo del saké, zenzero fresco, salsa di soia e dado per brodo di pesce, cose che tengo di base; invece ho cercato con tanta determinazione, trovandolo, il thé matcha.


Kaki-age tricolore

Questa foto ha ricevuto una nomination nell'MTC a cui partecipa la ricetta

Bianco: 2 piccole seppie, 5 ravanelli -solo il bianco, 1/4 porro
Rosso: 5 ravanelli -solo buccia rossa-, 1 falda peperone rosso, 5 mazzancolle polpose
Verde: 1 falda peperone verde, 2 zucchine, cipollotto fresco -solo foglie verdi-

Pastella: 40 gr. maizena + 85 gr. farina bianca, 1 tuorlo + acqua gelata in pari quantità alla farina

Salsa: 120 gr. brodo di pesce (fatto con dado per fumetto),30 ml. salsa di soia
30 ml. saké, 1 pollice di zenzero fresco

Fleur de sel + polvere di thé Matcha


Tagliare tutte le verdure, per questo lavoro ho scelto il taglio mijingiri, a cubetti.



Preparare la pastella, io l'ho fatto poco prima di scaldare l'olio per lasciarla molto fredda.
Preparale la salsina scaldando tutti gli ingredienti insieme e filtrando il tutto prima di servire, tiepida.
Ho riunito i vari ingredienti in ciotole raggruppandoli per colore, ho spruzzato con poca farina 0, per rendere asciutto il tutto, quindi in ciascuna ho suddiviso la pastella.
Scaldare dell'olio di semi di soia, a cui ho aggiunto dell'olio di sesamo (l'ho trovato insieme al thé matcha, stesso negozio!) e... sono iniziati i miei dolori: come ho già spiegato QUI, non ho un termometro da cucina (!) quindi la temperatura che "a occhio" va bene per il mio standard di fritture, era forse troppo alta per queste frittelle. Ed ecco che le cucchiaiate di composto che viavia calavo in pentola, accolte da miliardi di bollicine, si sono sparpagliate in mille cubettini misinjiri singoli -o quasi- quindi addio perfezione giapponese :((
Mi sono obbligata ad arrivare fino in fondo, a scolare bene dall'olio e riuscire a comporre qualche foto.
Devo dire, a onore di tutta l'impresa -per nulla "semplice e quotidiana", almeno per me- che il kaki-age ai tre gusti è stato molto apprezzato dai commensali, salsina d'accompagnamento a parte... e pazienza, i gusti vanno pure rispettati. 
A me invece è piaciuta tanto.

Grazie ad Acquaviva e, come sempre, alle ragazze dell'MTC perché anche stavolta ho dovuto rompere una mia barriera per preparare questo piatto, e ci voleva proprio!

Tarte al lemon curd e lamponi



Dovete sapere che nella vita sono molto avvezza all'uso della riga e della squadra.
Mi sono accorta che col tempo e con l'uso quotidiano di questi strumenti, a lungo andare accade che diventino sempre più relativi. Come dire che l'occhio e la coordinazione del gesto della mano, riescono a raggiungere risultati di una precisione sconcertante.
Oggi ci sono software che permettono di fare disegni molto sofisticati e pieni di particolari, ma per quanto realistico sia il risultato,  per uguagliare il fascino di un disegno fatto a mano la strada è ancora lunga.
Mi accade spesso di fare un progetto a matita, a occhio, riempiendo un foglio di righe, rettangoli e cerchi e di scoprire poi, al momento di trasferire in scala i miei bozzetti, che le misure sono praticamente già perfette così: un rettangolino messo lì apparentemente per caso è in realtà un tavolo dalla perfetta misura di 90 x 180, un altro rettangolino anche lui pasticciato a casaccio diventa un divano da 240 x 100.
Si tracciano righe sempre più dritte, si indovinano le misure a gesti. Si impara un'arte.

In cucina gli strumenti che uso sono parecchi e tutto sommato molto "normali", un po' come la riga e la squadra: nella mia cucina si fa un un uso scientifico dei coltelli, si adopera abbastanza scientificamente la bilancia, ma per tutto quel che riguarda le altre misurazioni vige la "legge dell'occhio"...
Se serve misurare la temperatura si osserva attentamente, si usano le dita, le labbra e basta, il termometro è ancora uno strumento "avanzato", una sorta di Autocad della cucina.
Ma, se da un lato si può sostenere il fascino della manualità nelle cose, altrettanto non si può fare per l'aspetto scientifico, soprattutto quando si tratta di pasticceria.

Quindi ho deciso di sfidare la fortuna e onorare il giveaway di Stefania l'Arabafelice in cucina. Dal suo archivio ho scelto la Tarte al Lemon curd e lamponi, concorrendo ovviamente per il termometro... 'ché il cannello per una come me è pura fantascienza!In compenso, fatemi tagliare una torta e vi stupirò con effetti speciali: le righe convergeranno perfettamente radiali, dal centro esatto di dipartiranno fette che, di qualsiasi misura si decida esse siano, saranno tutte perfettamente identiche. Fatemi porzionare le lasagne e avrete rettangoli con lati assolutamente paralleli e perpendicolari tra loro... niente sbavature o imprecisioni ;)
Pensate cosa potrò fare con un termometro! Finalmente caramellare lo zucchero, pastorizzare le uova per il tiramisu o per la maionese, come Cinzia insegna nel suo post,


Ecco la mia   "fetta perfetta  " di Tarte al lemon curd con lamponi




QUI troverete dosi e procedimento suggeriti dall'Arabafelice




Ho le ho dimezzate sia per la pasta che per il lemon curd e, unica variante rispetto alla ricetta di Stefania, non ho fatto il topping con la crema di lamponi: i miei bambini giocano a chi finisce prima di mangiare i lamponi interi, ciascuno dalla propria fetta e non volevo privarli del loro divertimento.
La torta, manco a dirlo, è squisita e molto profumata, si mangia volentieri fresca di frigorifero.
Un grazie a Stefania per la bellissima iniziativa!



Eliche... a velocità supersonica



Post pubblicato al solo scopo di invogliare chi, come faccio io molte volte, si limita a fare sempre la stessa cosa quando non c'è tempo, solo perché non vuole attingere alla parte creativa che risiede dentro ciascuno di noi, che viene messa a tacere dalla parte pratica e razionale.

Ci sono settimane in cui non riesco a ritagliarmi un'ora per una spesa seria.
La spesa seria, per me, è andare al super e prendere un po' di tutto quello che viavia si finisce, sia esso food o meno. Mi serve un'ora, che pare una pochezza, ma è veramente incredibile pensare a quante siano le cose di cui ci occupiamo in una giornata, al punto da non riuscire a far saltare fuori un'ora per la spesa.
Quando proprio non mi è possibile, faccio delle puntate dal panettiere del mio paesello, giusto per il latte e le uova e mi impegno a riutilizzare le rimanenze della dispensa secca: mezzi pacchetti di paste, risi, farine, scatolame vario... E il risultato a volte meraviglia pure me.

Quindi perché non pubblicare un piatto di pasta che, facendo onore alla mia volontà di uscire dallo schema FRETTA = pasta all'olio, si è fatta avanti negli ultimi 4 minuti di cottura!

Voi come lo chiamereste un condimento -che non sia olioagliopeperoncino-  per il quale servono 3 minuti di salto in padella...
io dico supersonico!

Eliche alle verdure saltate


dosi a occhio -e secondo le rimanenze del giorno-

Pasta di tipo corto
-io eliche, ma vanno bene nche penne, o sedanini..-
pomodorini ramati
zucchine
cipolla
timo ed origano freschi
olio extrav., sale e pepe
pecorino di Fossa di Sogliano

Mentre la pasta cuoce, tagliare la cipolla ad anelli finissimi e saltarla in poco olio, aggiungere i pomodorini a cubetti, una julienne di zucchine.
Buttare la pasta appena scolata e saltare bene il tutto. Prima di impiattare, una manciata di tino ed origano freschi tritatissimi e, sulla pasta già impiattata, scaglie di pecorino di fossa*.
Tempo totale tre minuti per spadellare le verdure, due per saltare ed impiattare e... velocità supersonica anche per spazzolare ;)
*Era la prima volta che lo provavo, è fantastico, molto molto saporito e dove i gusto è anche un poco dolce, crea quel contrasto che esalta i sapori nell'insieme. Merita il prezzo che ha..

Pane e lievito madre in coltura liquida


Oggi si parla di pane e di lievito. Meglio, di Lievito Madre in coltura Liquida, Li.Co.Li. per velocizzare un po'.

Ne ho letto per la prima volta questa QUI da Ornella del blog Il giardino dei colori e dei sapori, che panifica con questo tipo di lievito e mostra del pane con un'alveolatura che mi fa tantissima invidia. Ho seguito i links che segnala, con tantissima curiosità. Mi sono fatta un paio di serate  immersa in descrizioni di come fare cosa etc., senza però il coraggio di dare il via alle danze. Si, perché per farlo, il li.coli., si sta in ballo tre o quattro giornate, tra riposi e reimpasti.
Lo start mi è venuto dall'aver cercato di fare un pane che nell'impasto contiene dello yogurt e dove però, essendo le dosi in Cup, ho tradotto e convertito un po' a spanne. Trovando che la quantità di liquidi fosse bassa, di mia iniziativa l'ho aumentata ed ecco che i rolls che sognavo di ottenere sono risultati una cosuccia ai limiti del mangiabile, si capiva già mentre impastavo. Quindi ho tenuto una parte dell'impasto, che nel giro di alcuni giorni ha maturato una certa acidità.
L'ho usato come pasta madre di partenza per ottenere il lievito in coltura liquida. Lo so che i cultori faranno considerazioni a detrarre, ma onorando il machiavellico pensiero secondo cui  "il fine giustifica i mezzi", devo dire che il risultato non mi ha deluso, tutt'altro!

Passando alle mie considerazioni e conclusioni personali, penso sia giusto far presente che seguendo il passo-passo del blog Il Pasto nudo, si gestisce molta pasta e francamente consiglio di affrontare una lavorazione dove si parte con meno dei 100gr di pasta madre consigliati da izn, che dopo ogni passaggio diventano 300gr. (poiché si aggiungono pari quantità di acqua e farina) e dove ad ogni passo successivo, di questi se ne tengono solo di 100gr. mentre i restanti 200gr. vengono "lasciati da parte". In cinque passaggi si accumulano circa 1000 gr. di pasta, che ha un potere lievitante già molto buono e un profumo leggero, che ricorda il latte, infatti il fungo grazie al quale fermenta sviluppa acido lattico, invece dell'acido acetico del classico L.M. L'alveolatura del pane ottenuto è piccola e le fette restano compatte, ma la morbidezza e la frangranza sono fantastiche.



Nei pani che vedete qui ho adoperato le rimanenze che si accumulano per seguire il metodo di izn, la dose di pasta lievitante risulta essere circa il 15%, forse il 20% del peso totale dell'impasto.
Mi è difficile quantità precise, perché durante la lavorazione ho aggiunto farina fino a raggiungere la consistenza che piaceva a me:  l'impasto si staccava dalle pareti della ciotola del bimby, mantenendo elasticità e morbidezza molto elevate. In termini pratici non si riesce a dare una vera e propria forma al pane, si può al più disporlo in forma tonda oppure allungata. Io l'ho messo nello stampo rettangolare e la forma del "pane a cassetta" è perfetta per l'alveolatura finissima che presenta.
Questo è tutto quel che posso dire, per altro si va un poco anche a naso

Sono partita con 200 gr. di pasta lievitante, a cui sono stati aggiunti complessivamente 600 gr. circa di farina, e 200 gr. di acqua, un cucchiaino di miele, uno di sale e due di olio. 

Ringrazio il Molino Chiavazza con questo post, per il bellissimo pacco che ho ricevuto ormai già un mese fa, in dono per essere stata tra i vincitori del contest "Mani in pasta - La farina manitoba".
Il pacco conteneva una vera e propria dispensa di farine di diverso tipo, inclusa quella di ceci, che userò quanto prima per la panissa. Per arrivare al li.col.li ho usato solo esclusivamente farina manitoba del Molino Chiavazza, mentre per questi pani ho usato la miscela di farine per pane fatto in casa, che nei componenti prevede pasta acida essiccata e malto essiccato.
Una di quelle sere -di quei giorni di panificazione furibonda-  dietro insistenza di mio figlio abbiamo fatto anche la pizza... avevo un impasto che dopo la prima lievitazione era talmente morbido che avrei voluto rimaneggiarlo aggiungendo farina, ma non c'era tempo. Velocemente ho usato una spatola per allargarlo su un foglio di carta-forno, direttamente sulla leccarda, facendo un condimento classicissimo di passata di pomodori e qualche formaggio filante... ne è venuta una pizza "focacciosa" da far invidia alle panetterie, morbida dentro ma fuori ben croccante ;)... non c'è stato tempo per la foto, troppa fame!

Verrines al caffè e cioccolato e l'ospite inatteso


Quando ero piccola, la domenica era il giorno dell'arrosto, con la polenta e le patate fritte, il giorno della tovaglia buona, quello dove si andava a messa e poi via di corsa a casa che si doveva far andare la carne...
Capitava, non spesso ma insomma accadeva, che in pieno riassetto mattutino, tra un giro di polenta e l'altro, passasse qualche parente inatteso, così, giusto per un saluto. Volevi mica mandarlo a casa senza offrirgli un piatto di quel che stavi cucinando? Eh, no... E allora, apparecchiavi due posti al volo e si pranzava con quello che c'era! Bei ricordi.
Oggi invece, si deve sempre avvisare, cellulari-sms-squilli e quant'altro che altrimenti si rischia di essere inopportuni. E non si può più contare su quell'effetto sorpresa che a me che sapeva tanto di convivialità, di sani rapporti di amicizia.

Un po' rimpiango quei tempi. Domenica eravamo a casa tutti marito incluso, cosa poco frequente dato il fatto che normalmente lavora. Avevo pensato di preparare l'arrosto con le patatine spadellate, come quando ero piccola. Ed ecco che in pieno riassetto mattutino, mentre mi metto col pelapatate e la pentola a pressione già fischia per l'arrosto... drin! arriva anche l'ospite inatteso!!
O meglio, atteso da mio marito, poiché trattavasi di un amico di passaggio che voleva discutere di qualcosa con lui. Volevi mica offrire un piatto di quel che stavo cucinando? Eh, no... E, oggi come allora, si è apparecchiato un posto al volo e si è pranzato con quello che c'era!

E' stato bello chiacchierare tutti insieme pizzicando qualche oliva e del parmigiano, un buon prosecco, mentre spadellavo e preparavo il tavolo con la tovaglia bianca e con i sottopiatti della festa, i tovaglioli di lino e i bicchieri del vino. Anche solo per un pranzo semplice, così, senza nemmeno antipasti o un primo piatto.
Epperò infine ci voleva un dolcino. Che non avevo, no. Mi sono improvvisata questi bicchierini, da dieci minuti pescando dal frigo quel che avevo, di nascosto mentre gli uomini chiacchieravano.
Un risultato di assoluto rispetto, molto gradito anche dall'ospite!

Verrines al caffé e cioccolato


dosi per 10 bicchieri come in foto

250 gr. panna fresca
2 cucchiai colmi di zucchero
100 gr. mascarpone
2 cucchiaini colmi di caffé liofilizzato
(oppure due tazzine di caffé ristretto)
una decina di biscotti al cacao tipo Pandistelle
una tazzina di liquore secco


Preparare in un piatto fondo, una diluizione di liquore con acqua e poco zucchero, andando a vostro gusto con il livello alcolico del liquore. Passare i biscotti e disporli sul fondo di ogni bicchiere, non più di un paio per ciascuno.
Prendere ora una bella ciotola, diluire il caffé liofilizzato in poca acqua tiepida e stemperarlo nel mascarpone insieme allo zucchero. Si otterrà una crema molto morbida; montare la panna con le fruste elettriche e procedere ad incorporarla alla crema di mascarpone al caffé.
Disporre con garbo il composto vellutato in ogni bicchierino preparato con i biscotti e, se ne avete il tempo (che io non ne avevo) mettere in freezer una mezz'ora, oppure in frigo al ripiano più freddo.
Io avevo anche del liquore al cacao e ne ho messa qualche goccia prima di servirlo; ci stava bene.

Financiers... ovvero del riciclo di albumi



Non li conoscevo fino a questo bel post, dove il commento della Padrona di Casa mi ha stuzzicato a indagare più a fondo. Devo dire che, assolutamente, ho perso qualcosa in tutto questo tempo, perché queste tortine sono squisite. Dopo una breve ricerca in qualche altro blog, ho deciso di adottare la sua ricetta di fondo, restando però con la versione che in origine prevede il burro e solo le mandorle.
Ci ho messo dell'uva che volevo finire e, a dispetto del fatto che il mio bimbo piccolo aveva espressamente chiesto dolci senza frutta, mani ladre li hanno fatti sparire in un battibaleno!
Per la realizzazione, il prodigioso bimby stavolta ha fatto il grosso del lavoro, ma anche se avete un semplice mixer, potrete avere comunque ottimi risultati.
Mi sono piaciuti così tanto che credo dovrò torvare ricette per riciclare i tuorli... ;)

Financiers con l'uva


120 grammi farina di mandorle (io mandorle passate al mixer)
100 grammi di farina
200 grammi di  zucchero a velo
100 burro morbido
1 cucchiaino lievito (4-5 grammi)
(una manciata di uva pulita dai semini)
5 albumi
2-3 gocce di limone (o un cucchiaio di succo di limone)


Ho messo nel mixer le mandorle per trasformarle in farina di mandorle, poi ho aggiunto lo zucchero con il burro e poi, con lame in movimento, ho aggiunto prima un albume o due, la farina ed il cucchiaino di lievito. Solo in ultimo i rimantenti albumi e l'essenza di limone, mandando a velocità abbastanza alta le lame, per ottenere un composto molto vellutato e spumoso.
Ho imburrato ed infarinato gli stampini che uso per la panna cotta, evitando i soliti pirottini di carta da muffin.
In ognuno ho messo un chicco d'uva tagliato a metà ed ho infornato per 30 minuti a 160° ventilato.

Anche questa ricetta va al contest di Angela, poiché le mandorle sono una caratteristica dei financiers

Elogio alla Bellezza della Semplicità

Semplicità.
Cosa c'è di più semplice, rustico e buono di un pane fatto con le proprie mani, che profuma tutta la casa mentre cuoce, che già di per sé rappresenta la base per un pasto completo, solo accostandolo a poche semplici cose che la natura ci regala già perfette così come sono, le olive, le cipolle, i pomodori, gli aromi,  l'uva... ingredienti semplici, dai sapori importanti, ingredienti che il sapiente lavoro dell'uomo ha valorizzato fino a trasformarli in olio, vino, conserve.
Invitiamo amici a cena e prepariamo un aperitivo con delle "semplici" bruschette: pane, pomodoro, olive, cipolla, acciughe, tonno, origano, olio.. 
In questa semplicità solo apparente si trova tutto il valore dell'Uomo, che con la Volontà del lavoro e con l'Amore per la terra, può trasformare le cose più semplici in capolavori.

elogio alla Bellezza della SEMPLICITA'

Perché la bellezza E' nelle cose Semplici; un buon pane fatto in casa, magari in un pomeriggio piovoso e con l'aiuto dei bambini. Una passeggiata nel bosco, a raccogliere le fragoline e mangiarle tutte prima di arrivare a casa a farne la marmellata.

Pane con Lievito in coltura liquida e marmellata di fragole allo zenzero

Ma la Semplicità deve arrivare a essere consapevole dell'Essenza delle cose, altrimenti diventa banalità.
E per arrivare a esserne consapevoli, ci vuole un Lavoro, fatto con Volontà e Amore.
Nella vita è un obiettivo da perseguire, è la capacità di lasciare perdere gli orpelli e i ghirigori che le mode, il così-fan-tutti ed i media ci mostrano come indispensabili. E' la volontà di andare Oltre quel che gli occhi vedono, che pure può essere bello in sé, per arrivare al Cuore, trovare il valore intrinseco, Essenziale, dentro cui sta la bellezza.
Non solo sulla tavola, ma nella qualità della nostra Vita, tutta, ritroveremo allora il risultato di queste alchimie...


Appetizer e Bonbon: il gioco degli specchi



Il gioco degli specchi: riflettere la realtà esteriore o quella "nascosta agli occhi"...
ci sarebbe il presupposto, alla grande, per una dissertazione sulle leggi che regolano i nostri rapporti con la realtà, quella che vediamo e/o quella percepita.. ma francamente ci giro intorno da tempo e mi domando se questo blog, che pure è uno spazio dove si possono -e si devono- esprimere le nostre essenze, sia un luogo adatto ad arrivare a tanto.
Per speculare in maniera leggera, direi che un momento ce lo potremo anche prendere, questo si quindi oggi, data anche l'ora,  mi fermo all'argomento cooking & eating, magari al prossimo post aggiungerò l'altra parte... thinking.
Ecco, ci è voluto poco. E' bastato scriverlo e già mi piace, è la forma più adatta a quel che ho in testa da giorni: sarà la pagina del cooking & eating... thinking :)

Ora però si inizia solo con le foto e poco altro, qualche ingrediente per due ricette semplici ma dal gusto molto sorprendente, volutamente messe in modo da essere l'una lo specchio opposto dell'altra: sotto simili sembianze, gusti completamente differenti.
Il tutto in onore della Cuoca Reale, la carissima Fausta del blog Caffé con cioccolato, per il suo  gioco "Ricette allo specchio"


Falafel e panna acida - appetizer a tutto tondo


per circa 35 palline grandi come una noce

300 gr. ceci in scatola sgocciolati
1 piccola cipolla bianca
1 uovo
1/2 cucchiaino coriandolo in polvere
1/2 cucchaino cumino in polvere
1 punta di peperoncino piccante
1 cucchiaio abbondante succo di limone
sale e pepe e prezzemolo

Passare al mixer i ceci per renderli in purea, aggiungere se necessario pochissima acqua. Aggiungere tutti gli altri ingredienti, la cipolla tritata e impastare bene. Formare delle palline di 2/3 cm. di diametro e friggerle in abbondante olio caldissimo. Io uso un pentolino stretto e altro, ne cuocio non più di 5 per volta e prima le passo il un velo di finissimo pangrattato.
Servirli con della panna acida, la cui ricetta ho trovato in rete con facilità, che può a piacere essere arricchita con una punta di senape ( qui l'ho lasciata liscia )


Bonbon al caffé e cioccolato bianco - stuzzicherie di fine pasto



200 gr. cioccolato bianco
100 gr. panna fresca
1 cucchiaino da thé abbondante caffé liofilizzato
10-12 biscotti secchi tipo Oro Saiwa

Sciogliere a fuoco debolissimo il cioccolato bianco con la panna. A una temperatura vicina al punto in cui la nostra pelle si scotta -circa 45 °- sciogliervi il caffé e lasciar raffreddare un poco. Tritare i biscotti secchi in briciole non troppo fini, devono rimanere granulosi, poiché vanno aggiungi alla ganache ed amalgamati bene. Due vanno tenuti da parte per dopo ( passati al mixer per ottenerne una sorta di farina). Porre il tutto in frigo a raffreddare e solidificare. Potrebbe essere d'aiuto una mezzora di freezer.
Con due cucchiaini formare delle piccole sfere, circa 2 cm. diam. e rotolarle nel biscotto finemente sbriciolato. Io ho aggiunto anche una punta di caffé liofilizzato, poiché l'insieme è così dolce che una puntina di amarognolo mentre il bonbon si scioglie sul palato, ci sta di un bene..
Qui li vedete presentati con del semplice yogurt gusto vaniglia, mentre le ciliegie, come del resto i pomodorini delle foto sopra, sono solo delle "comparse" per bilanciare i colori, ci stavano bene!

Succo di sambuco, sapore di bosco



Il sambuco è un albero da noi diffuso, tanto diffuso che lo si può vedere anche nelle macchie di cespugli sparse ai margini dei campi coltivati, dove scorre il canale che li divide. Fiorisce a partire dall''inizio di maggio e fino a oltre la metà e possibile coglierne i suoi fiori, piccoli ombrellini colmi di deliziose infiorescenze a quattro petali, carichi di un profumo che da vicino potrebbe essere fin troppo forte.

Fiori di Sambucus Nigra
Fiorisce insieme all'acacia, comunemente detta da noi robinia, i cui grappoli spesso sovrastano i sambuchi.
Purtroppo le robinie sfioriscono in fretta e non sono riuscita ad organizzarmi per qualcosa di estroso. Invece il sambuco, che sa delle mie corse, degli impegni e delle mie priorità, ha atteso pazientemente con i suoi fiorellini che avessi quel che serve: tempo, ispirazione e voglia di andar per sentieri a coglierne qualcuno.

Lo sciroppo di sambuco è cosa davvero semplice da fare: una sosta all'imbocco di un sentiero di bosco a due passi da casa... un giro nel blog di Rossella e siamo già a metà del lavoro.
Una volta fatto. va conservato in bottiglie con tappo ermetico e bevuto diluito in acqua freschissima, come si faceva quand'ero piccola con lo sciroppo di menta o di tamarindo, di amarena per i più chic. E' fantastico.


Succo di Sambuco
10 ombrellini di fiori di sambuco
1,5 litri acqua
1,5 kg. zucchero bianco
5 limoni bio

  

Sgranare i fiori dai loro steli e porli in una bacinella, sciaquandoli delicamente. Riempire la bacinella con l'acqua precedentemente bollita e raffreddata, porre insieme anche i limoni -puliti e tagliati a spicchi-. Coprire con pellicola per alimenti e lasciare in frigo per 48 ore.
Spremere grossolanamente con le mani i limoni, filtrare l'acqua in una grande bacinella che possa contenere anche il volume dello zucchero, quindi amalgamare bene insieme acqua e zucchero, coprire con pellicola e porre in frigo per altre 24 ore. Imbottigliare in bottiglie molto ben lavate, filtrando nuovamente. Con queste dosi ho ricavato circa 2,5 lt. di sciroppo.

In questo post ho utilizzato lo sciroppo per preparare del sorbetto con yogurt biancodolce, da accompagnare a qualche dolcetto o anche da mangiare con un biscottino per un dopocena elegante.
© ESSENZA IN CUCINA

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